Se prevale la legge del più forte

Scritto il 22/12/2025
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La speranza di una imminente composizione del conflitto in Ucraina si è scontrata, ancora una volta, con l’arroganza di chi porta su di sé la responsabilità di quattro anni di guerra, morte e distruzione. “Se Kiev rifiuta di negoziare, prenderemo il Donbass tutto e subito con la forza” è la minaccia lanciata, nei giorni scorsi, da Putin che della sua forza fa la carta vincente. Se sul rispetto delle regole continua a prevalere la legge del più forte, il timore che si arrivi a una pace ingiusta e fragile si fa sempre più concreto. “Appare insensata la pace evocata da parte di chi, muovendo guerra, pretende in realtà di imporre le proprie condizioni” ha detto al corpo diplomatico il Presidente Mattarella lo scorso 12 dicembre. D’altra parte, chi può censurare tale comportamento? Non le Istituzioni internazionali che hanno perduto ogni autorità e autorevolezza, e neppure l’altro uomo forte, il presidente Trump il quale, nella posizione di arbitro, mentre afferma di volere pervenire alla pace, dichiara, in dispregio a ogni principio etico, di cercare una «stabilità strategica» con Mosca. E in tal senso ammonisce Zelensky a «collaborare, perché sta perdendo e la Russia ha la meglio».

Uno scorretto incoraggiamento, questo, a Putin a chiedere non solo i territori occupati e quelli ancora non occupati dell’Ucraina, ma di condizionare, perfino, il futuro di quel Paese. In queste condizioni non è difficile prevedere quale potrà essere, se non interverranno fatti nuovi, la sorte dell’Ucraina. Situazione speculare sull’altro fronte, quello degli Stati uniti. Anche qui, se prevale la legge del più forte, può accadere, come è accaduto, che Trump salga in cattedra e cominci a bacchettare “a destra e a manca”, a iniziare dall’Unione europea. “L’avversario da battere – ha detto- è il Vecchio continente con i suoi valori”, aggiungendo che “Washington non ha alleati, ma solo interessi economici”: “America first”! Con il documento sulla “Strategia di sicurezza nazionale” firmato lo scorso 5 dicembre, Trump, senza sentire il bisogno di consultare i tradizionali alleati, ha annunciato un cambiamento radicale della posizione degli Stati Uniti nel mondo rispetto ai trascorsi ottant’anni, a iniziare, proprio, da quell’Europa considerata da lui “in declino”. A prescindere dalla fondatezza circa le lacune dell’Unione evidenziate da Trump, molte delle quali già contenute nel “Piano Draghi” per la competitività europea, sconcerta come l’attuale Capo della Casa Bianca più che alle alleanze punti agli allineamenti. Soltanto chi è allineato con le sue idee – i sovranisti in testa – può essere suo alleato.

Siamo lontani, non solo temporalmente, dai tempi in cui statisti illuminati – non uomini di affari- all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, sedettero attorno a un tavolo per costruire, insieme, un nuovo ordine mondiale. Grazie al Piano Marshall, sostenuto proprio dagli antenati di Trump, fu possibile risollevare l’Europa dalle sue macerie e istituire, a garanzia di tutti, la Carta delle Nazioni Unite (ONU) e il Patto atlantico. Quei pilastri dell’ordine e della sicurezza mondiale – sottoscritti entrambi negli Stati Uniti, rispettivamente a S. Francisco nel 1945 e a Washington nel 1949 –   che oggi Trump vuole cancellare. E così, dopo avere per ottant’anni parlato di ricostruzione, di scambi commerciali e culturali, di welfare state e di solidarietà, l’Unione europea è chiamata oggi a pensare in termini di armamenti per la sua difesa e per quella dell’Ucraina. L’auspicio è che l’Europa trovi il coraggio e la forza per scongiurare quel pericolo di disintegrazione paventato da Trump, ma ancor più, che nell’anno nuovo possano trovarsi nuovi sentieri che conducano alla Pace. Anche se, come è detto nella nota pastorale “Educare a una pace disarmata e disarmante” diffusa dai nostri Vescovi lo scorso 5 dicembre, è “Davvero difficile parlare di pace in questo tempo, ma forse, proprio per questo, ancor più necessario”.

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