Ecumenismo del sangue. Athenagoras: “Cristiani perseguitati e uccisi. La nostra unità è la più grande testimonianza”

Scritto il 01/07/2025
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Mons. Athenagoras Fasiolo (Foto Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia)

“Quanto dolore. Eppure, anche in quella tragedia, c’è stata una grande testimonianza. Tutte le Chiese cristiane si sono ritrovate insieme nel pianto. Non c’erano cristiani che guardavano da lontano altri cristiani soffrire. C’era una famiglia unita nel dolore che piangeva. La nostra unità è la più grande testimonianza che possiamo dare al mondo”. È mons. Athenagoras Fasiolo, vescovo di Terme della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia (Patriarcato ecumenico), a commentare le parole pronunciate domenica 29 giugno all’Angelus da Papa Leone XIV  sull’ecumenismo del sangue e lo fa partendo dall’ultimo tragico attentato alla Chiesa greco-ortodossa di Mar Elias a Dweila, nei sobborghi di Damasco dove il 22 giugno scorso un uomo ha prima sparato e poi si è fatto saltare in aria provocando la morte di 25 persone e una sessantina di feriti. “Anche ai nostri giorni, in tutto il mondo, vi sono cristiani che il Vangelo rende generosi e audaci persino a prezzo della vita”, ha detto il Papa all’Angelus.

Perché colpire le comunità cristiane?

I cristiani sono nati con il sangue, se pensiamo alle persecuzioni subite dai martiri dei primi secoli.  Negli ultimi tempi, purtroppo, assistiamo ancora al martirio e i martiri sono ancora oggi numerosissimi. Veramente possiamo parlare di un “ecumenismo del sangue”, che unisce tutte le Chiese cristiane. Veniamo colpiti non perché siamo cattolici, ortodossi o protestanti, ma perché cristiani. È una testimonianza che nessun filosofo, nessuna religione aveva mai immaginato nella storia dell’umanità: è un mistero sconvolgente.

Come fermare chi alimenta la guerra?

Io credo che oggi assistiamo a una sopraffazione di tipo economico, che ignora completamente il senso della giustizia. L’abbiamo già detto più volte e in diversi contesti: se non c’è giustizia, non ci sarà mai pace. E se l’economia diventa uno strumento di guerra e di oppressione, il risultato purtroppo è quello che vediamo oggi. È inutile nasconderci: tutte le guerre che stiamo vivendo sono guerre economiche. Non si combattono perché i popoli si odiano, ma per interessi materiali che possono prendere nomi diversi, dalle terre rare al petrolio.

C’è un’economia che non guarda all’uomo, ma guarda al potere di pochi sui molti.

Papa Leone ha anche detto: “La Chiesa di Roma è impegnata dal sangue dei Santi Pietro e Paolo a servire la comunione tra tutte le Chiese”. Quanto sono importanti queste parole e perché?

Molto, perché questo è il ruolo della Chiesa di Roma. Per secoli ha svolto un servizio di comunione e di relazione. Le Chiese cristiane hanno discusso a lungo su come è stato inteso il primato del vescovo di Roma nel primo millennio e, successivamente, nel secondo millennio. Anche il dialogo teologico tra le nostre Chiese ha affrontato questi temi, a volte spinosi, a volte complessi. Oggi, però, abbiamo un’opportunità diversa. Grazie al dialogo, alla possibilità di incontro e alla immediatezza della comunicazione, possiamo affrontare queste questioni con uno spirito nuovo. Quest’anno celebriamo il 1700° anniversario del Concilio di Nicea, in cui abbiamo solennemente testimoniato questa relazione come immagine di una comunione trinitaria.

Papa Leone XIV incarna profondamente questa comunione che si fa relazione, non supremazia. Un servizio che si pone al servizio degli altri, non al di sopra.

Purtroppo, alcuni dialoghi bilaterali – soprattutto nel mondo ortodosso – si sono interrotti. Penso al Patriarcato di Costantinopoli e al Patriarcato di Mosca. C’è un futuro per una piena comunione tra le Chiese?

Purtroppo, il dialogo ecumenico – come in fondo tutta la storia dell’umanità – è fatto di alti e bassi. Personalmente, non percepisco un vero e proprio raffreddamento del dialogo ecumenico. Noto piuttosto all’interno delle grandi famiglie cristiane – e in tutte le famiglie cristiane – una certa tendenza a voler imporre una certa interpretazione o adesione al Vangelo, più radicale rispetto ad altre. E questo, a volte, parlando ad esempio per l’Ortodossia, porta ad allontanarsi dalla comprensione autentica dell’unità della Chiesa. Lo vediamo nel rapporto appunto tra Costantinopoli e Mosca a causa della guerra. Il nazionalismo è sempre stato uno dei grandi problemi per l’Ortodossia, specialmente tra XIX e XX secolo, con la nascita di molte Chiese autocefale. Quando diamo troppo peso alla nostra specificità, rischiamo di perdere di vista il bene comune. E credo che questo sia proprio ciò che sta accadendo tra Costantinopoli e Mosca.

Forse dobbiamo attendere persone nuove, capaci di riavvicinarsi, di riconoscersi a vicenda. Serve tempo.

Gli allontanamenti sono il segno evidente che la storia incide anche sulle relazioni tra le Chiese. Secondo lei, vale anche il contrario? E cioè che le Chiese possono incidere sulla storia di oggi? 

Non solo ci credo ma ne sono profondamente convinto. Dobbiamo porre al centro della nostra vita, la testimonianza di Cristo, che è via, verità e vita. Allora Cristo diventa amore, pace, riconciliazione. Diventa capacità di dialogare. Mi piace molto, ad esempio, il messaggio che sta portando avanti Papa Leone parlando del dialogo.

C’è bisogno di dialogo e non lo diciamo solo noi. Il dialogo è necessario. Il dialogo non toglie nulla, anzi: aggiunge, arricchisce.

È vero che la storia entra nelle Chiese ma è anche vero che le Chiese possono incidere sulla storia. In passato, è successo in molte occasioni. Io sono convinto che continuerà a succedere ancora.

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