Siria. Kikolof (Centro Giovani Damasco): “La croce e l’hijab nella Siria che verrà”

Scritto il 04/04/2025
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Dopo 14 anni di guerra civile, la Siria sta vivendo una nuova e cruciale fase della sua millenaria storia. Lo scorso dicembre, una coalizione di milizie ribelli guidate da Ahmed Hussein al-Shar’a, meglio noto come Abu Mohammad al-Jolani, leader del gruppo jihadista Hayat Tahrir al-Sham (Hts), ha rovesciato il regime di Bashar al-Assad instaurando un governo di transizione, con l’obiettivo di ricostruire il Paese, e annunciando un cammino di dialogo, di legalità, di cittadinanza, di rispetto dei diritti umani, in vista anche di una nuova Costituzione (al momento vige una Dichiarazione costituzionale temporanea, ndr.) ed elezioni democratiche. Ma cosa significa, davvero, questa svolta per i siriani? Il crollo del regime ha aperto nuove speranze, ma ha anche lasciato il Paese in un equilibrio fragile, dove la ricostruzione politica e sociale si intreccia con le cicatrici del conflitto.

Jacklin Kikoloff (Foto Youth Project)

Per fare il punto della situazione il Sir ha intervistato Jacklin Kikolof, coordinatrice del “Centro Giovani”, attivo a Damasco dal 2019 nel campo dell’educazione alla pace, alla riconciliazione e alla coesione sociale. Un progetto affidato e sviluppato da Caritas Italiana e da Rondine Cittadella della Pace e nato come Opera segno delle conferenze “Mediterraneo frontiera di pace” di Bari (2020) e Firenze (2022) che videro riunirsi nelle due città i vescovi di 19 Paesi affacciati sul Mare Nostrum.

Quali sono, oggi, le sue speranze per il futuro del Paese?
Siamo in una fase cruciale di transizione storica. Come molti siriani, provo un misto di speranza e attesa. Il mio sogno è una Siria in cui ogni voce venga ascoltata, dove la riconciliazione prevalga sulla divisione e la resilienza del popolo possa finalmente tradursi in pace duratura. Vorrei vedere i nostri figli, nati sotto le bombe, crescere in un Paese senza paura, dove possano costruire ponti invece di vivere tra le macerie e diventare così architetti di pace.

Sogno una Siria in cui ragazze come me possano studiare e prosperare, la speranza di una Siria in cui la croce al mio collo e l’hijab della mia compagna di classe non siano solo etichette e simboli di paura, ma parti di una storia complessa che rielaboriamo insieme per tornare,

come eravamo, un mix che arricchisce il mio Paese. Sogno una Siria che abbracci la diversità: dove il suono delle campane delle chiese si mescoli all’adhan, l’invito alla preghiera, delle moschee, dove un gioielliere armeno possa condividere il pane con il suo vicino sunnita, dove un giovane medico cristiano curi ferite in un ospedale ricostruito con mani alawite. La mia speranza è semplice, senza grandi proclami, slogan o bandiere: scuole che riaprono senza paura, famiglie che si ritrovano intorno a un tavolo, giovani che parlano di sogni e non di fuga e bambini sfollati che reimparano il sapore di casa.

(Foto AFP/SIR)

Di cosa ha bisogno la Siria per rinascere?
La rinascita è iniziata nel momento in cui la nostra terra è stata liberata. Ora, abbiamo bisogno dell’ossigeno puro della giustizia, del latte della riconciliazione, e del caldo abbraccio della diversità. La Siria ha bisogno di investimenti che credano nel suo futuro, di programmi che uniscano invece di dividere, di piattaforme che diano voce alla nostra realtà senza filtri. Le organizzazioni per la pace devono sostenere progetti che curino le ferite del conflitto, valorizzino i giovani e celebrino la diversità del nostro Paese. Ma soprattutto, abbiamo bisogno di comunicatori coraggiosi, disposti a raccontare la vera storia della Siria.

Non vogliamo solo sopravvivere, vogliamo rifiorire.

Un anno fa, in un meeting a Rondine Cittadella della Pace, lei disse che “i giovani siriani portano la guerra dentro di sé, che la vivono ogni giorno”. Che ruolo possono avere i giovani nella costruzione della nuova Siria e nell’elaborazione della sua Costituzione?
La guerra ha lasciato cicatrici profonde, e anche se il regime è caduto, la pace resta fragile. Ora ci aspetta il compito più difficile: ricostruire. Lo stiamo facendo con incontri comunitari nelle biblioteche, discutendo il futuro della Siria davanti a una tazza di tè. Registriamo le storie degli anziani sulla convivenza prima della guerra, per ispirare i principi della nuova Costituzione. Con l’arte trasformiamo i muri crivellati di proiettili in tele che raccontano la giustizia attraverso gli occhi dei bambini. Non stiamo scrivendo un documento perfetto, ma un processo vivo: assemblee di quartiere dove studenti e casalinghe discutono di governance locale, gruppi WhatsApp in cui i giuristi spiegano concetti legali in modo semplice. La Costituzione che immaginiamo non sarà imposta dall’alto, ma nascerà anche dalle voci dei giovani siriani che si rifiutano di dimenticare il passato, ma non vogliono esserne prigionieri.

Lei è coordinatrice del “Centro Giovani” a Damasco, nato nel 2019 come spazio di incontro per giovani di tutte le fedi ed etnie. Quali iniziative state portando avanti in questa fase della vita della Siria?
Nel nostro centro, ogni giorno assistiamo a piccoli miracoli. Giovani di tutte le provenienze non solo convivono, ma creano insieme, trasformando le loro differenze in legami di unità. Abbiamo avviato progetti di arte terapia interreligiosa e ‘cerchi’ di dialogo per curare le ferite del conflitto. Il ‘Truth Café’ è uno spazio in cui discutiamo apertamente di identità e appartenenza. Ora lanciamo ‘Cosa ci rende diversi?’, un’iniziativa che celebra la ricchezza del mosaico vivente della Siria. Ogni settimana, anziani tramandano testi antichi, impariamo danze tradizionali e condividiamo ricette di famiglia che hanno attraversato le linee del fronte. Con documentari e scambi linguistici, custodiamo la diversità della Siria non come un reperto, ma come un modello vivente di coesistenza. Abbiamo anche un programma intensivo di una settimana per formare giovani leader sulla cittadinanza attiva e la costruzione della pace, incoraggiandoli a diventare ambasciatori di coesione sociale.

Crede che la Siria tornerà a essere quel mosaico unico di fedi, etnie e storia che la guerra ha cercato di cancellare?
Come ho detto, la Siria porta le cicatrici della guerra, ma non è sconfitta. Permangono timori legittimi per le comunità vulnerabili ma questo Paese, dove San Paolo ha portato per primo il messaggio di Cristo al mondo, ha ospitato civiltà per millenni, e la sua anima ha resistito a innumerevoli tempeste. Oggi le sfide sono immense, ma la resilienza del popolo siriano è ancora più forte.

La nostra storia ci ricorda che questa terra ha coltivato la diversità sin dall’alba dei tempi. Nessun conquistatore, nessuna guerra, nessuna paura ha mai cancellato l’anima della Siria.

Oggi ad Aleppo i suk rinascono, nella Valle dei Cristiani i monasteri riaprono, e a Damasco la convivenza si ricostruisce. La strada è lunga, ma la Siria non ha mai scelto percorsi facili. I suoi figli ora scrivono il prossimo capitolo, non di perfetta armonia, ma di ostinata sopravvivenza. Noi, giovani siriani, abbiamo le chiavi per il futuro. E intendiamo usarle.

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