Leggete i numeri. L'Italia cresce

Scritto il 22/12/2025
da Osvaldo De Paolini

Non c'è solo lo spread, dicono dalla Lega. Vero. Ma senza lo spread a 65, che ci farà risparmiare tanti miliardi di interessi sul debito (per non dire dei benefici che porterà all'intera economia), viene difficile immaginare un sistema pensionistico più flessibile. Tutto e subito non si può avere, visto che stiamo ancora pagando gli sperperi dei due governi guidati da Giuseppe Conte. Ciò detto, dobbiamo essere chiari su un punto: le tensioni sulla manovra nella maggioranza di governo non segnalano fragilità economiche né crepe strutturali. Segnalano, più banalmente, l'avvio della lunga campagna elettorale che ci condurrà al 2027. Quando l'economia dà segnali di ripartenza e il quadro generale smette di essere emergenziale, il confronto si sposta inevitabilmente sul terreno del posizionamento e della propaganda. È dinamica nota, prevedibile, fisiologica. Scambiarla per instabilità sarebbe un grave errore di analisi. Soprattutto ora.

C'è un dato che più di ogni slogan e di ogni talk show urlato misura lo stato reale dell'economia italiana: il fatturato di imprese e professionisti che nei primi nove mesi è cresciuto del 2,6%, equivalenti a 63,5 miliardi in più. È questo il vero termometro del Paese. Non le chiacchiere dei profeti di sventura. Non la narrazione tossica di un'opposizione che da tempo ha smesso di leggere i numeri e si è rifugiata nella caricatura.

Mentre una certa sinistra continua a descrivere un'Italia immobile, impoverita e sull'orlo del baratro, i dati della fatturazione elettronica raccontano altro. Raccontano di un'inversione di tendenza netta - dopo il rallentamento del 2024 - che segna il ritorno a una crescita diffusa e concreta. Precisano che imprese e professionisti hanno incassato 2.466 miliardi, contro i 2.402 miliardi dello scorso anno. Dicono che dopo il segno meno del 2024 (-32 miliardi), il sistema produttivo ha cambiato marcia. Certo, non fuochi d'artificio, non fantasie oniriche, ma economia reale. Ed è qui che salta il banco ideologico. Perché la ripresa arriva non grazie, ma nonostante le critiche a una politica economica accusata per mesi di essere troppo prudente, troppo rigorosa. Le stesse scelte fatte dimostrano che senza stabilità dei conti, senza credibilità finanziaria, senza un clima meno ostile su inflazione e tassi, la crescita resta una promessa elettorale, non un risultato.

Secondo il Rapporto annuale di Unimpresa, che precede di qualche tempo quello della Banca d'Italia, la crescita italiana del 2025 non è drogata né effimera. È larga, trasversale. L'energia e il gas crescono di oltre il 15%, con un aumento del fatturato pari a 26 miliardi. Le costruzioni sono tornate sopra 200 miliardi, con un balzo vicino al 6%. L'agricoltura è schizzata del 7%, superando 63 miliardi, grazie a filiere sempre meglio organizzate. Persino la manifattura, data per spacciata, è rientrata nel trend positivo. Il commercio, primo settore per volumi, ha infine sfiorato 656 miliardi, mentre i servizi finanziari e la sanità sono cresciuti di oltre il 6%. In una parola, il 2025 italiano è la certificazione che il pragmatismo paga.

Dal punto di vista territoriale, poi, crolla un altro luogo comune. Lombardia e Lazio trainano, com'è naturale. Ma il dato politicamente più rilevante è che il Mezzogiorno cresce sopra la media nazionale. Campania, Sicilia, Sardegna e Calabria dimostrano che, quando le politiche non sono assistenziali ma strutturali, quando gli investimenti non sono slogan ma cantieri, il Sud risponde. Altro che Paese spaccato.

Ed è forse questo il punto che più irrita chi ha costruito per anni il consenso sulla retorica del declino: la ripresa non nasce da una svolta ideologica, ma da una politica economica trasversale, che ha messo da parte le bandiere per concentrarsi sui fondamentali. Nessuna scorciatoia, nessun bonus elettorale, nessuna spesa allegra. Solo realismo, continuità e una visione meno urlata e più efficace. È questo, nella sostanza, ciò che unisce il ministro dell'Economia leghista, Giancarlo Giorgetti, e il premier Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia.

Per una sinistra rimasta senza bussola economica, il copione è sempre lo stesso: se l'economia cresce, è merito del contesto; se rallenta, è colpa del governo. Ma quando la crescita arriva in un quadro internazionale ancora complesso, con strascichi di inflazione e tassi elevati, continuare a negare l'evidenza diventa esercizio di pura propaganda. Certo, non tutto è risolto. L'immobiliare soffre, il credito resta selettivo, le difficoltà non mancano. Ma è proprio qui che si misura la differenza tra una politica economica seria e una politica di consenso facile: non si comprano voti con il debito, non si nascondono i problemi sotto il tappeto. Alla fine, resta un fatto semplice, ostinato, numerico: l'economia italiana nel 2025 è tornata a crescere.