Le reazioni timide di Trump e le mire degli autocrati. Le occasioni di Putin e Xi

Scritto il 15/09/2025
da Roberto Fabbri

Il tycoon lascia intendere di non volersi muovere. Pechino e Mosca non si fermano

Non è bello fare le Cassandre. Vuoi perché la gente che ti legge fa gli scongiuri, vuoi soprattutto perché il meglio che ti puoi augurare è di essere smentito, facendo così una pessima figura. E tuttavia non ci vergogniamo di ricordare che è da prima ancora che Donald Trump fosse rieletto alla Casa Bianca lo scorso novembre che andiamo ripetendo che se c'è un uomo in grado di riportare la guerra in Europa, quello è lui.

Lui, e non Vladimir Putin o Xi Jinping o altri dittatori loro amici. Lui, Donald Trump, perché è riuscito nel capolavoro al contrario di far capire a Putin che finché ci sarà lui alla Casa Bianca l'America reagirà per finta a qualsiasi sua porcheria. Lui, Trump, che avrebbe gli strumenti politici e militari per fermare davvero la guerra in Ucraina in un tempo ragionevole (non in 24 ore come aveva promesso, quello no): ma non lo fa. E non lo fa in primo luogo perché la sua relazione personale con Putin è a tal punto ambigua un giorno gli storici dovranno far luce su questo -, da far sembrare a volte che il presidente degli Stati Uniti si abbassi al ruolo di portavoce del Cremlino. Più ancora, forse, non lo fa perché lui, Trump, sembra interessato solo agli aspetti economici delle relazioni internazionali, e nell'Europa non vede un alleato, ma un rivale da battere. E in questo, la sintonia con un Putin che lavora da sempre per dividere l'Alleanza Atlantica è più che sostanziale.

Putin ha dunque per le mani adesso l'occasione della sua vita. I prossimi tre anni, quelli che rimangono a Trump per compiere il suo secondo mandato, saranno decisivi per cercare di mettere a segno gli obiettivi dell'uomo che ha voluto farsi Zar: non solo la conquista dell'Ucraina tutta intera, ma il ritorno nella "zona d'influenza" di Mosca di quell'Europa orientale che ne era uscita festante alla caduta dell'Urss nel 1991, e che tuttora non ha nessuna voglia di ricaderci.

Questi tre anni rischiano di essere i peggiori della nostra vita. Sono gli anni in cui Putin potrà sperare di assistere (favorendola con tutti i mezzi della guerra ibrida che da tempo ci ha dichiarato) all'ascesa di governi filorussi cosiddetti sovranisti in Europa occidentale: via Macron entro il '27 a Parigi, su Farage a Londra e magari i rossobruni a Berlino. Condizioni ideali per conseguire senza più intralci l'unico sogno che ha in mente, quello di passare alla Storia come il restauratore dell'impero di Stalin, con l'aquila bicefala zarista al posto dell'obsoleta falce e martello. Contemporaneamente, dall'altra parte del mondo, il suo socio di brutte avventure Xi Jinping potrà trovarsi finalmente (dal suo punto di vista) nella condizione di assaltare l'isola-fortezza di Taiwan per "ricondurla alla madrepatria cinese", così distraendo militarmente un Trump già pochissimo motivato a spendersi per gli (ex) alleati europei.

Putin ha ormai quasi 73 anni, il tempo gli scivola via e deve sbrigarsi. Un'occasione come questa non si ripresenterà mai più. Troppi segnali sembrano incoraggiarlo a osare. Proprio mentre lui testa con i droni le difese Nato prima in Polonia e poi in Romania, Trump toglie fondi destinati alla protezione dei Paesi baltici che si trovano in prima linea; e proprio mentre le minacce russe aumentano, la direttrice dell'Intelligence nazionale Usa Tulsi Gabbard espunge uno dopo l'altro i consiglieri che evidenziano come Putin non lascerà mai l'alleanza di ferro con Pechino e che contenere l'imperialismo russo è nell'interesse americano.

Sembra quasi un invito. Avremo tre anni decisivi per la nostra libertà, e al momento l'ottimismo è un lusso.