La vulnerabilità della privacy nell'era degli hacker

Scritto il 15/09/2025
da Valeria Braghieri

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In principio erano solo i paparazzi che armati di macchina fotografica rubavano qualche bacio clandestino di attori e dive famose in via Veneto a Roma. E tutto si risolveva con una bella scazzottata tra l’attore hollywoodiano e il fotografo. A sua volta ripresa da qualche fotografo. Poi arrivarono i teleobiettivi potentissimi capaci di immortalare un moscerino al centinaio di metri! In questa spirale di curiosità morbosa non si curarono neppure di invadere le proprietà private intrufolandosi in ville di personaggi noti come il caso del fotoreporter sardo condannato per aver diffuso immagini di persone presenti all’interno della dimora privata di Silvio Berlusconi a Porto Cervo. Nessuno parla di tutela della privacy. Adesso grazie al progresso della tecnica ci pensano gli hacker, usando paradossalmente gli stessi sistemi di telesorveglianza che hanno VOLONTARIAMENTE installato i personaggi spiati. Vedi De Martino consapevole che in quella casa, in quella stanza, erano puntate su di loro le videocamere di sorveglianza. E quindi non sono state installate da terzi appositamente per spiarli. La sicurezza ha un rovescio della medaglia. Quindi «ubi commoda ibi et incommoda» dicevano gli antichi latini! Non molto differente il caso di Raoul Bova e il suo messaggio poetico. E allora dobbiamo chiederci di chi è la colpa? Di chi ha scritto quella frase privata su una rete vulnerabilissima come WhatsApp!
Francesco Federico Fastorini - Forte

Mi stupisco sempre anch’io di quanto la gente si affidi a vulnerabilissimi mezzi, nonché, se posso dire, al prossimo che trovo altrettanto vulnerabile. Per vivere è necessario avvicinarsi, mischiarsi, affidarsi. Diversamente, stare al mondo sarebbe un esercizio sterile in attesa della fine. Ma trovo che ognuno di noi debba circoscrivere e mantenere un piccolo confine inviolabile. E penso che la tutela del proprio corpo e della propria intimità debbano star dentro a quel recinto. È ovvio che è proprio col corpo che si va più significativamente incontro a qualcuno. Ma è appunto di due che si parla. Non uno di più. Quest’ansia da performance sessuale ripresa, dilatata, rivista, non l’ho mai compresa. Si è due in quel momento. E tanto dovrebbe bastare. Figuriamoci quindi se condivido il destino ancor meno edificante di certe immagini che raggiungono la Rete sfasciando la sacrale intimità e gettandola in pasto ad altri. Diffusi volontariamente o trafugati, poco importa: che si tratti di un «incidente» non lo rende meno grave.