L’odio eterno contro gli ebrei e la guerra delle parole

Scritto il 15/09/2025
da Andrea Pasini

Quando il pregiudizio diventa tragedia: antisemitismo, Hamas e la speranza di pace

L’antisemitismo accompagna la storia da duemila anni. Ha preso la forma della condanna religiosa nel Medioevo, dell’ideologia razziale nell’Ottocento, dell’orrore industrializzato della Shoah nel Novecento. Oggi si rigenera nei linguaggi del web, nei complotti globali, nelle campagne politiche. Cambia abito ma non identità. Il bersaglio resta sempre lo stesso: l’ebreo, trasformato in simbolo negativo assoluto, capro espiatorio eterno.

Il conflitto in Medio Oriente viene spesso raccontato come se Israele combattesse contro il popolo palestinese. Ma questa è una semplificazione pericolosa. Israele affronta Hamas, riconosciuta come organizzazione terroristica da Unione Europea, Stati Uniti e numerosi altri Paesi, che dichiara apertamente la volontà di distruggere lo Stato democratico di Israele e che, al tempo stesso, tiene in ostaggio il popolo palestinese. Secondo numerosi osservatori internazionali, Hamas ha costruito un regime fondato sull’odio: ha limitato libertà, imposto la propria ideologia e trasformato i civili in scudi umani. La prima vittima di Hamas è il popolo che dice di rappresentare. Confondere un intero popolo con i terroristi che lo opprimono significa cancellare questa verità e consegnare al terrorismo una legittimazione che non merita.

Criticare le scelte di un governo è legittimo, fa parte del dibattito democratico. Ma quando la critica diventa ossessiva, esclusiva e sproporzionata rispetto ad altri conflitti, quando Israele viene sempre e solo indicato come il male assoluto, si svela la radice di un pregiudizio antico.

Oggi, in diversi casi, l’antisemitismo si camuffa sotto parole di solidarietà, di diritti, di giustizia. Ma se non si distingue tra Hamas e il popolo, se non si riconosce il diritto di Israele a difendersi, allora non siamo più di fronte a una critica politica: siamo di fronte a un odio che ha mutato volto.

La dimensione del fenomeno è confermata dai dati. In Italia, nel 2023, secondo l’Osservatorio antisemitismo, sono stati registrati 454 episodi accertati su 923 segnalazioni raccolte. Tra ottobre e dicembre, dopo l’attacco del 7 ottobre, si sono contati 216 episodi, metà dei quali avvenuti offline: aggressioni, minacce, vandalismi contro sinagoghe, cimiteri, negozi. Nel 2024, secondo lo stesso Osservatorio, gli episodi risultano quasi raddoppiati rispetto all’anno precedente.

In Europa il quadro è altrettanto allarmante. L’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali ha segnalato un aumento di oltre il 400 per cento degli episodi dopo l’attacco di Hamas. In Germania, Francia, Belgio e Regno Unito gli atti di antisemitismo hanno raggiunto livelli mai registrati negli ultimi decenni: scritte, aggressioni, intimidazioni, profanazioni di cimiteri, fino alle minacce online trasformate in violenza concreta.

Hamas nasce nel 1987 come diramazione dei Fratelli Musulmani. Il suo obiettivo dichiarato è la distruzione di Israele e l’instaurazione di uno Stato islamico. I suoi strumenti, secondo numerosi rapporti internazionali, sono il terrorismo, gli attentati suicidi, il lancio di razzi sui civili, la propaganda incessante. E soprattutto l’uso dei palestinesi stessi come scudi umani.

L’antisemitismo non vive solo in rete. Si manifesta nelle strade, nelle piazze, nelle scuole e nei luoghi di culto. L’aumento degli episodi fisici dimostra che il linguaggio dell’odio ha conseguenze concrete, e che il conflitto in Medio Oriente ha riacceso un pregiudizio mai sopito.

Noi siamo contro ogni tipo di guerra, ogni conflitto che continua a seminare dolore. Non vediamo l’ora che anche questo conflitto smetta, perché ogni popolo possa riavere la sua terra, la sua vita, la sua dignità. Ma siamo convinti che non si possa costruire la pace finché l’organizzazione che nega ogni possibilità di coesistenza non venga una volta per tutte debellata. Solo così si potrà restituire al popolo palestinese la libertà e a Israele la sicurezza. Di fronte al ritorno dell’antisemitismo, le democrazie devono dimostrare la loro forza. Significa chiamare l’odio per nome, distinguere con chiarezza tra popolo e terroristi, difendere la verità storica e sostenere politiche di riconciliazione.

Perché quando l’ebreo torna a essere il capro espiatorio, ogni minoranza rischia di diventare la vittima di domani. E quando l’odio diventa normalità, la democrazia stessa si ammala alla radice. E questo non lo dobbiamo permettere.