Terza Assemblea sinodale: l’Introduzione di Mons. Castellucci

Scritto il 25/10/2025
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"Sono stati quattro anni belli, che ora possiamo vivere con gioia ed entusiasmo", ha affermato il Presidente del Comitato Nazionale del Cammino sinodale.

Pubblichiamo di seguito l’Introduzione di Mons. Erio Castellucci, Presidente del Comitato Nazionale del Cammino sinodale, alla terza Assemblea sinodale (25 ottobre 2025)

Buongiorno e grazie di cuore a tutti.
Ieri pomeriggio in Aula Paolo VI, durante l’incontro giubilare delle équipes sinodali, a chi gli chiedeva in che modo il processo sinodale può ispirarci, Papa Leone ha risposto: “personalmente, mi sono sentito nella vita poche volte ispirato da un processo; io mi sono sentito ispirato da persone che vivono l’entusiasmo della fede”. Gli incontri con le persone sono stati la tessitura del nostro Cammino sinodale italiano. Tante pagine, certo, lo hanno accompagnato; moltissime riunioni, celebrazioni, eventi: ma sempre, tra queste carte e questi ritmi, ci siamo riconosciuti come dono reciproco, abbiamo privilegiato i volti ai numeri, i sorrisi agli emendamenti, le esperienze ai ragionamenti. Basterebbe un numero a dare l’idea di questo evento sinodale – e sarà l’unica cifra che fornisco, perché don Valentino ce ne ha già date tante – ed è il totale dei gruppi che nel primo anno, impegnato in un ascolto aperto a tutti, si sono incontrati, accolti, confrontati e misurati con l’unica grande domanda consegnata da Papa Francesco: “come può la Chiesa essere sinodale e missionaria?”. Ebbene, 50.000 gruppi, composti ciascuno mediamente da una decina di persone. Un fenomeno che, anche solo nelle sue dimensioni quantitative, rappresenta un “unicum” nella storia recente del nostro Paese e nella nostra esperienza ecclesiale. Attraverso questi gruppi abbiamo cercato di raccogliere il “senso di fede del popolo di Dio”, che è una ispirazione, un fiuto che percepisce la voce dello Spirito. Ascolto, discernimento, orientamento: le tre fasi – narrativa, sapienziale e profetica – non ci hanno indicato solo un metodo, un processo, ma anche e soprattutto ci hanno fatto incontrare delle persone.
Ecco, il cammino è iniziato così, con la semplice spinta di Papa Francesco: “fate un Sinodo in Italia”. La decisione di aderire, con le nostre specificità, al cammino del Sinodo universale, è stata conseguenza: si è trattato di un unico grande percorso sinodale, che ci ha permesso di coniugare il locale con il globale: un Cammino sinodale glocal, per scomodare una categoria del mondo dell’economia. Questo percorso ci ha aiutato ad essere noi stessi più sinodali: a cercare di capirci, anche quando avevamo idee diverse; ad ascoltarci, anche quando avremmo volentieri zittito l’altro; a integrare le nostre prospettive, anche quando pensavamo di avere un’idea ormai assodata. Arriverà a maturazione anche il libro, certo: e stiamo per votarne uno molto importante, il Documento di sintesi; ma è già arrivata a maturazione l’esperienza quadriennale della sinodalità, che ci ha fatto percepire la possibilità di riformare il nostro stile personale e comunitario, ha respirato i sogni e le fatiche delle nostre Chiese locali, ha ricollocato le comunità cristiane nell’orizzonte della missione, aperte ai drammi e alle risorse del mondo, di cui esse stesse fanno parte. La pandemia e le guerre hanno segnato i grandi orizzonti di questo percorso, e il confronto con esse e con i tanti problemi del nostro tempo ha scongiurato il ripiegamento su noi stessi.
Il testo che avete ricevuto, e che ora votiamo, è il risultato di questi quattro anni. È, in particolare, il risultato del passaggio dalla seconda alla terza Assemblea, un passaggio che non era previsto. Papa Francesco ci aveva detto all’inizio di partire, pur senza sapere dove saremmo arrivati. E noi abbiamo compiuto un percorso libero: non prefabbricato, non ingabbiato, non censurato. La seconda Assemblea, che quasi tutti noi abbiamo vissuto con iniziale smarrimento ma finale consenso, ha chiesto alle nostre Chiese e alla CEI un momento di sosta e ulteriore riflessione, per non perdere la ricchezza del Cammino compiuto fino a quel punto. La fretta di decidere – non certo la malafede – aveva condizionato la preparazione del testo delle Proposizioni, che non è stato riconosciuto adeguato ad esprimere il percorso fatto. E il Consiglio Permanente della CEI lo ha ritirato, registrando il quasi unanime consenso dell’Assemblea, e chiedendo comunque di valutare e integrare le centinaia di emendamenti che su quel testo erano stati proposti. Non è stato un passo indietro, quell’Assemblea, ma un passo in avanti: verso una maggiore corresponsabilità, nella libertà di potersi esprimere anche in dissenso. È stato un rinvio coraggioso, nel quale tutti abbiamo letto la voce dello Spirito. È sintomatica la differenza di tono che si è registrata, nei numerosi commenti a caldo, tra chi aveva partecipato all’Assemblea, esprimendo la gioia per avere vissuto un momento intenso di Chiesa, e chi la valutava dall’esterno, compresi famosi opinionisti, e avanzava talvolta giudizi, dietrologie e sospetti senza fondamento. La fantasia è un grande dono di Dio, ma forse ad alcuni ne ha elargita un po’ troppa.
Da aprile ad oggi è stata fitta l’agenda dei lavori: gli organismi della CEI sono stati coinvolti a tutti i livelli: Presidenza, Consiglio Permanente, Uffici e Commissioni; il Comitato del Cammino sinodale si è incontrato due volte in presenza e una volta online, e la Presidenza del Cammino sinodale si è tenuta costantemente in contatto; sono state interpellate le Regioni ecclesiastiche, con gli stessi criteri di intervento minimo praticati dal Consiglio Permanente della CEI, riunitosi a Gorizia il mese scorso.
Ne è uscito il testo che avete in mano e che stiamo per votare. Certo non perfetto – ciascuno di noi lo avrebbe scritto almeno in parte diversamente – ma risultato del tentativo di mediare le diverse posizioni e intuizioni; non però in modo compromissorio, ma “profetico”. Perché la profezia non è tanto dei singoli, è dell’intero popolo di Dio: e lo sforzo che abbiamo compiuto è, come già accennavo, quello di discernere il senso di fede del popolo di Dio. Alcuni di noi potranno ritrovarsi o meno in alcuni passaggi, frasi o parole; ma è importante valutare la corrispondenza dell’insieme con le istanze emerse dalle nostre Chiese.
La nota della bellezza mi pare in grado di riassumere questi quattro anni. La bellezza, per i cristiani, non è solo armonia, ma è dono, impegno, sacrificio. Sono stati quattro anni belli, che ora possiamo vivere con gioia ed entusiasmo, come dice Papa Leone. Qua e là ci sono note di scontento, delusione e scetticismo. È fisiologico da una parte, e dall’altra segnalano dei punti in cui si poteva sicuramente fare meglio. Ma con il malumore non si va da nessuna parte, non si attira nessuno, non si alimenta una Chiesa missionaria. Il Giubileo delle équipes sinodali, di cui facciamo parte, ci suggerisce di vivere con giubilo anche questo momento conclusivo, che nella sua forma burocratica potrebbe attenuare l’entusiasmo. Giubilo, perché siamo qui, come delegati delle nostre Chiese, non come numeri ma come volti; giubilo, perché non siamo qui per l’aspirazione a contare e a contarci – per quanto accadrà anche questo – ma per lasciare spazio allo Spirito del Signore Gesù, che passa anche attraverso il nostro discernimento. Il voto, qui, non è dato per spirito di partito o di corporazione, ma nella piena coscienza di essere membra di Cristo e, come tali di dare il proprio contributo all’edificazione dell’intero corpo. Il primato della coscienza personale come strumento di discernimento nella ricerca del bene e del vero, inciso nei testi conciliari – specialmente Gaudium et Spes 16 e 43 – deve ispirare il momento assembleare che stiamo vivendo.
Il documento di sintesi passerà ai Vescovi, i quali gli daranno forma definitiva, attivando il loro carisma di pastori e custodi della fede e della vita ecclesiale. La CEI dovrà assumere il testo, lasciarsi orientare dai consensi che le singole proposte avranno ricevuto in questa Assemblea, stabilire che cosa possa essere deliberato subito e che cosa richieda invece altre forme: orientamenti, cammini, linee guida. I Vescovi stabiliranno delle tappe di recezione del Documento di sintesi, elaborando anche – come richiesto specialmente dai recenti lavori regionali – dei sussidi nazionali circa le priorità individuate.
Tornerà ancora l’occasione, ma non può mancare già ora il ringraziamento, sentito e sincero, a voi delegati, che avete assunto la corresponsabilità del discernimento e della decisione: Grazie di cuore. Grazie al Comitato del Cammino sinodale, che in questi anni non si è risparmiato e ha cercato di modulare i testi a seconda delle sensibilità percepite nelle comunità. Una grazie del tutto speciale alla Presidenza del Comitato, che ha vissuto in prima persona un’esperienza davvero sinodale: riunioni su riunioni, online e in presenza; confronti a volte anche accesi, ma sempre con l’intento di far prevalere la profezia del popolo di Dio sulle proprie singole idee. Grazie di cuore. E grazie a tutte le vostre équipes diocesane, che come delegati avete coordinato. Grazie alla CEI e ai suoi Organismi, la Presidenza, il Consiglio Permanente, le Commissioni, gli Uffici.
Il Cammino sinodale non parla solo alla Chiesa, ma è profezia per la vita sociale e civile: le occasioni sinodali in questi quattro anni sono state spesso utili e paradigmatiche anche per gruppi, enti e organismi operanti nella società e nella politica. La Chiesa, come ha detto Papa Leone, nella sua prima omelia in Piazza San Pietro, deve collocarsi nel mondo come “lievito di pace, di concordia, di fraternità”. Fu questo, già 17 secoli fa, il grande intento del Concilio di Nicea, che percepì la relazione profonda tra concordia della Chiesa e pace sociale. Quella che poteva sembrare una questione interna – la divinità di Gesù – ebbe invece una grande risonanza esterna. Se è lecito, come dice Virgilio, paragonare le cose piccole alle grandi, possiamo dire che qui oggi, ancora, è l’evento di Cristo che ci convoca, perché un Cammino sinodale, come un Concilio, non si tiene, ma si celebra: dà cioè spazio a Cristo risorto e vivente, che raduna la sua Chiesa e celebra con lui la Parola e l’Eucaristia.
Per noi dunque la sinodalità diventa anche servizio ad un mondo marcato da tante ingiustizie e disuguaglianze, sfruttamento del pianeta e solitudine. Sono le situazioni che Papa Leone, accogliendo “come in eredità” e integrando il magistero di Papa Francesco, ci ha donato nell’esortazione Dilexi te: i poveri sono i nostri evangelizzatori; e quando la Chiesa sta dalla parte dei poveri, secondo quella mappa inesorabile che Gesù le ha fornito – affamati, assetati, nudi, carcerati, stranieri e ammalati – non sbaglia mai postura. Non avrà tanti applausi, ma avrà la carezza del Vangelo.