"Quel secondo regno dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno". È così che lo chiama Dante Alighieri nella sua Divina Commedia. Il Purgatorio è per la Chiesa la purificazione finale di quelle anime imperfette che così ottengono la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo. Un insegnamento che fonda le sue basi sulla pratica della preghiera per i defunti già presente nelle Sacre Scritture e affermato già dai padri della Chiesa. Sant'Agostino, caro a Leone XIV, scriveva nel IV secolo: "non si può negare che le anime dei defunti possono essere aiutate dalla pietà dei loro cari ancora in vita". Arrivando ai giorni nostri, c'è un luogo a Roma che è nato proprio per provare l'esistenza del Purgatorio.
Una chiesa e tanti misteri
La chiesa del Sacro Cuore del Suffragio non è certo tra le prime mete nei tour di turisti e pellegrini, eppure chi la vede anche di sfuggita non può non notarla. La facciata ricca di guglie, archi e nicchie e lo stile neogotico le sono valse l'appellativo di "piccolo Duomo di Milano", ma su Lungotevere. In una sala a lato della sacrestia sorge il museo delle anime del Purgatorio, una piccola ma unica collezione di cimeli che vogliono testimoniare l'esistenza di quello che Benedetto XVI ha definito "fuoco interiore".
Lo strano incendio
L'idea del museo venne a padre Victor Jouët, un missionario francese del Sacro Cuore vissuto tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. Il religioso celebrava nella chiesa su Lungotevere Prati, all'interno di una cappella dedicata alla Vergine del Rosario. Quest'ultima venne distrutta da un incendio scoppiato il 15 settembre 1897. Quando le fiamme furono spente, padre Jouët notò un volto umano, triste, rimasto inciso in una delle pareti dietro l'altare. Quest'evento colpì molto il missionario che da allora decise di mettersi alla ricerca in tutto il mondo di testimonianze simili e di fondare un museo per raccogliere le prove di manifestazioni di anime di defunti nella vita terrena.
Le impronte
Nella bacheca sono visibili ancora oggi i reperti raccolti dal religioso francese poi morto nel 1912. Tra gli oggetti c'è un libro di preghiere tedesco appartenuto a George Schitz e in cui compaiono le impronte del suo defunto fratello che gli sarebbe apparso nella notte del 21 dicembre 1838 chiedendo preghiere per l'espiazione delle sue colpe. Un'altra impronta compare sulla federa di un cuscino ed è attribuita ad una suora spagnola che nel 1894 sarebbe apparsa dopo la morte ad una sua consorella. Altre impronte sarebbero state lasciate sul grembiule di una suora e su una tavoletta di legno di una badessa vissuta a fine Settecento. Un altro reperto è un berretto da notte su cui la moglie defunta di un certo Giovanni Le Sénéchal avrebbe lasciato la sua impronta manifestandosi a lui la notte del 15 gennaio 1875 per rimproverargli la mancata celebrazione di una messa di suffragio. L'uomo provò a scusarsi dicendo di non aver abbastanza soldi, ma la moglie lo esortò a chiederli alla figlia. Quando Le Sénéchal obiettò che la figlia non gli avrebbe creduto, l'anima decise di lasciare una prova della sua apparizione sul berretto. In quindici anni di ricerche, Jouët raccolse circa trecento testimonianze ma poi ne selezionò molte meno. Quelle presenti oggi sono le stesse che furono scelte dal missionario.
