I giovani del Kenya sono scesi di nuovo in piazza la settimana scorsa per protestare contro la corruzione, il malgoverno, le ingiustizie e la povertà. È un movimento nato spontaneamente un anno fa, non ancora ben strutturato, ma sta pagando un duro prezzo a causa della repressione ordinata dal governo: sono state almeno 17 le vittime e oltre 400 i feriti, durante gli scontri del 25 giugno a Nairobi e in altre città, per commemorare la grande protesta del 2024, durante la quale morirono 60 persone e diverse decine scomparvero nelle mani delle forze dell’ordine. Tra i casi più drammatici e recenti il giovane insegnante e blogger Albert Ojwang, noto sui social per le sue prese di posizione politiche. Arrestato il 7 giugno 2025, è stato trovato morto due giorni dopo in una cella della Central Police Station di Nairobi con gravi segni di violenza, contraddicendo la versione della polizia che parlava di suicidio. La sua morte ha riacceso la rabbia e l’indignazione in tutta la nazione, e il dibattito sulla brutalità delle forze di polizia e l’impunità istituzionale in Kenya. Ieri, 30 giugno, un altro blogger, Ndiangui Kinyagia, risulta scomparso da 10 giorni.
(Foto Sermig/Bussio)
L’uccisione del blogger Albert Ojwang, “è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Questa morte ha fatto riesplodere la protesta, che ancora una volta è stata repressa nel sangue. La polizia del Kenya si è rivelata incapace di gestire i manifestanti in modo ragionevole. Ci sono prove evidenti che il ministro degli Interni abbia ordinato alla polizia di sparare sulla folla. È chiaro che la violenza è stata provocata da agenti infiltrati, quasi certamente della polizia, incaricati di creare episodi di violenza per giustificare una repressione brutale”. A parlare al Sir da Nairobi è padre Kizito Sesana, 82 anni, il noto missionario comboniano che coordina la Comunità Koinonia, che accoglie un centinaio di bambini di strada tra la baraccopoli di Kibera e il quartiere Riruta Satellite dove risiede, a ovest di Nairobi. Padre Kizito viaggia tra il Kenya, lo Zambia e i Monti Nuba in Sudan, dove gestisce un progetto finanziato dall’8xmille Cei.
I vescovi del Kenya chiedono di dialogare con i giovani. È diventato tutto talmente evidente che anche i vescovi, le autorità religiose, le ambasciate e gli ambasciatori, hanno preso posizione, chiedendo alla polizia di rispettare i diritti umani. Monsignor Philip Arnold Subira Anyolo, arcivescovo di Nairobi, preso di mira dalle autorità, ha dovuto ribadire che la Chiesa ha a cuore la vita di tutte le persone ed ha invitato a dialogare con i giovani.
“Ormai si è creata una coscienza nei giovani nati dopo la nuova Costituzione. Questi ragazzi hanno studiato la Costituzione del 2010 a scuola, hanno cominciato a capire cosa significa il rispetto dei diritti umani, la lotta contro le ingiustizie. E oggi esigono che la Costituzione sia rispettata, che venga garantito il diritto della gente a protestare pacificamente, a farsi sentire, a scrivere cose ragionevoli sui social media”, afferma padre Kizito.
“Oggi in città la situazione è un po’ più calma, ma è chiaro che questa protesta non scomparirà. Ormai c’è una coscienza nuova in questa generazione e tutta la classe politica è totalmente scollegata da loro”,
afferma il missionario: “Un tempo i politici riuscivano a manipolarli, li usavano quando erano all’opposizione, li mandavano allo sbaraglio come ‘miliziani’ contro l’altra parte. Ma ora non si fanno più usare per fini politici, tribali o etnici, non scendono in piazza sotto nessuna bandiera”.
“La loro bandiera è il cambiamento: vogliono la fine della corruzione”, sottolinea padre Kizito. Ciò che fa scatenare la rabbia “è vedere politici che si sono arricchiti in modo scandaloso, impuniti”, che “ostentano in modo sfacciato la ricchezza accumulata”. “Lo vedo con i miei occhi: di fronte a uno dei nostri progetti per bambini poveri c’è la villa di un politico – racconta -. Potrebbe essere un albergo di lusso, forse ha 70 o 80 stanze. È un’ostentazione oscena, uno schiaffo alla gente che protesta”.
Le elezioni si terranno tra due anni, “e se non ci sarà la volontà reale di cambiare, questa situazione continuerà all’infinito” e potrebbe diventare “ancora più violenta, più distruttiva”.
Dal settembre 2022 il presidente del Kenya è William Ruto, e l’opposizione, guidata dall’anziano Raila Odinga, ex primo ministro, è stata cooptata nel governo due anni fa. “Di fatto non esiste una vera opposizione ed è proprio questo che i giovani contestano: tutta la classe politica ha fallito. Ha alimentato la corruzione, il clientelismo, i gruppi di potere. E non ha la minima intenzione di cambiare”. Molti confidano nelle elezioni del 2027 “per mandare tutti a casa”. L’opinione pubblica, prosegue padre Kizito, “è orientata al cambiamento. Tutti sono stanchi e vorrebbero che il presidente si dimettesse. Ma in questo momento non si vede ancora una figura alternativa”. È una situazione difficile anche perché l’attuale presidente ha ereditato molti problemi dai suoi predecessori: “Il Paese è economicamente in ginocchio, per via dei prestiti da ripagare alla Cina per progetti faraonici inutili. I soldi sono stati sperperati e la popolazione deve pagare tasse esose”.
“La corruzione, lo sperpero e il saccheggio delle risorse pubbliche da parte di chi è al potere, mentre la maggioranza dei kenioti è disoccupata e il costo della vita è altissimo” sono le ragioni della protesta confermate al Sir anche da Stephen Kituku, già direttore di Caritas Kenya. Ora lavora per Green transformation foundation (Gtf), una Ong che opera nell’est del Paese. “I membri della Generazione Z avevano minacciato di marciare verso State house e cacciare il presidente. Questo ha messo le agenzie di sicurezza in massima allerta. Le successive proteste di piazza sono diventate violente, a causa dell’infiltrazione di teppisti e dei tentativi della polizia di contenere i manifestanti”, racconta. “I giovani hanno motivazioni molto legittime, ma la classe politica non li ascolta né agisce per affrontare i problemi sollevati – conclude Kituku -. Proteste simili, o addirittura peggiori, potrebbero verificarsi in futuro, man mano che il Paese si avvicina al periodo elettorale”.
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