Caro Vittorio, visti gli innumerevoli casi di stupro commessi da stranieri, spesso clandestini, le domando se questi misfatti sarebbero così numerosi se quei soggetti potessero accedere a delle nuove case riaperte.
Mauro Tombesi
Caro Mauro,
perdonami la franchezza, ma la tua proposta, per quanto immagino sia frutto di provocazione, rischia di scivolare su un piano pericoloso: quello della giustificazione biologica della violenza.
Tu, in sostanza, ipotizzi che l'apertura di case chiuse possa ridurre gli stupri commessi da stranieri, spesso clandestini. Ma, vedi, la violenza sessuale non è il frutto della frustrazione, bensì della prevaricazione, dell'assenza di rispetto verso l'altro e, in molti casi, dell'ideologia che disprezza la libertà della donna. Non si tratta di un impulso incontrollabile che può essere placato con una prestazione a pagamento. Quella è pornografia della sociologia, non realtà. Aprire le case chiuse per ridurre gli stupri significa, in pratica, accettare che l'uomo o peggio, lo straniero sia una bestia che, se non ottiene sesso a pagamento, va a predarselo per strada.
È un insulto alla civiltà e alla nostra stessa idea di giustizia. Uno Stato non può e non deve mai legittimare l'idea che l'unico modo per contenere la criminalità sia soddisfarla a pagamento. Mi sia consentito l'esempio duro, eppure necessario: non costruiamo sale apposite per chi ha voglia di scippare o picchiare, per evitare che lo faccia.
E non offriremo certo «sesso gratuito» agli extracomunitari per impedirgli di violentare le nostre donne. Chi stupra, va punito. Non compreso.
Le uniche case da riaprire, nel caso degli stupratori, sono quelle del carcere, e per i clandestini che delinquono, le case nei loro Paesi d'origine. Questa gente non è venuta qui per lavorare o per integrarsi. È venuta per portare la propria legge tribale, il proprio disprezzo per l'altro, e per approfittare della nostra mollezza. Nel loro mondo, spesso, le donne sono oggetti. Noi, invece, le consideriamo esseri liberi, degni, e pienamente padroni del proprio corpo. Chi viene qui deve adeguarsi al nostro modello, non il contrario. Chi parla di sfogo sessuale come soluzione alla violenza, ha già perso. Perché è la stessa logica che, nei tribunali islamisti, porta a dire che la colpa è della donna, troppo scoperta o troppo sola. Non lo accettiamo altrove. Non dobbiamo accettarlo neanche in Italia.
Dunque no, caro Mauro. Non si contrasta la barbarie con i bordelli, e nemmeno con le attenuanti culturali. Si contrasta con la fermezza, le espulsioni immediate, le pene certe e la tutela assoluta delle donne. Perché la civiltà non è un lusso. È un dovere.